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      Osservi questi due alani, che la signoria vostra mi diè in particolare custodia; come son lucidi e snelli, che rubano gli occhi.
      - È vero: due goccie d'acqua che valgono un tesoro. E quello sciocco di abate quasi me li aveva fatti stizzire. Buon per lui che il suo mugnajo lo fe' salvo dei quattro fiorini e della pelle per giunta, se no voleva alloggiarlo per un dì con un pajo di mastini perchè imparasse di che guisa van trattati i cani.
      - Sarebbe pur stato un bello spettacolo. Un abate colla musoliera e col guinzaglio, disse lo Scannapecore.
      - L'han provato Giovanni Sordo e Antoniolo da Terzago, e ti so dire che hanno avuto agio a pentirsene. Ma in fine l'ora della mostra parmi arrivata. Perchè non son qui quei gaglioffi coi loro cani? Suvvia, fatte che entrino, e vediamo se avvi qualcheduno, cui faccia gola una gabbia di ferro e la compagnia d'un cinghiale affamato.
      - In quel punto, dato il segnale, una turba di persone d'ogni età e d'ogni professione entrò tumultuosamente nel cortile, guidando i cani raccomandati a cordicelle di filo, e non si contenne che quando fu alla presenza del Duca. I canattieri senza attendere alcun cenno si gettarono sopra i cani, e dopo averli minutamente esaminati, se erano giudicati in istatu quo, li lasciavano andare insieme con chi li custodiva; quando avevano qualche appiglio, segnavano il nome di chi l'aveva condotto, e quegli era costretto a pagare la multa stabilita. Quando poi, il che avveniva più delle volte, il povero multato non aveva nè danari nè roba da soddisfare l'imposta, allora il Duca lo faceva metter prigione, lo torturava in cento guise, e spesso lo faceva o appiccare o gettare al fuoco.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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