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      Son due giorni che non mangiamo, e a casa ho quattro altri fratellini che piangono. Al prestino dei Rosti ci han dato una volta un po' di pane a credenza: e ora non ce ne vogliono dar più. Che colpa abbiamo noi se non c'è da mangiare? E sì che il primo boccone era sempre per il cane. Anche jeri c'era un po' di crosta avanzata da tre dì, e il piccino la voleva per lui e singhiozzava; ma la mamma la fece ammollire nell'acqua e la porse al cane. Oh! messer Duca, abbiate pietà di noi.
      - Finiscila, storditello; a udir voi con que' vostri eterni lamenti, sembra che ogni dì siate lì per tirar le cuoja. So ben io di che piede zoppicano i miei cittadini, e so dar la giusta misura alle loro parole. Diavolo! forsecchè non avete all'epoca fissata le vostre buone lire imperiali in mercede del cane mantenuto? E queste non bastano a dar cibo ad un cane e a dieci furfantelli tuoi pari?
      - Ah, mio buon signore! seguitava a dire il fanciullo sempre lagrimando, in altri tempi sì, c'era, non da sbavazzarla, ma stando a pane ed aglio, da camparla mediocremente. Ma ora che i forni sono quasi tutti chiusi, che la roba costa dieci volte tanto, e fortuna a trovarne, bisogna proprio cucirsi la bocca, e anche questo non basta.
      - Via, via, per questa volta non pagherai che un fiorino d'oro, ma bada di non cadervi più.
      - Oimè, gridava più forte il fanciullo, se non abbiamo un quattrino a cavarci la pelle di dosso!
      - Allora avrai un pezzetto di lingua tagliata, disse il Duca, e non ti starà male perchè adesso è lunga oltre il dovere.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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