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      - Oimè, tapino, e la mia povera mamma, e il mio Ambrosiolo, e la mia Agnesina, e...
      Ma il pianto gli soffocò le parole in gola, e lo fe' rimanere come stordito sul suolo: tanto che uno dei canattieri che gli si trovava vicino, vedendo che non se n'andava, gli dette un urto con un piede che lo fe' rotolare d'un tratto fino nel salotto. Ed ivi rimase alcun tempo quasi fuor di sè, e forse rimaneva fino al finir della mostra, se uno dei cittadini che se la svignava col suo cane, mosso a compassione, non l'avesse sollevato da terra e trascinato fuori all'aperto con lui. Da lì a poco rinvenuto, ricovrò forza bastante da ridursi a casa, dove trovò la madre che lo aspettava inginocchiata davanti un'imagine della Madonna. Lasciamo figurar al lettori lo spasima e l'agonia di quella meschina nell'udire così triste novelle, e nel vedere il figliuol suo spaurito e malconcio in quella guisa.
      Intanto la rassegna era pressochè terminata: poche persone rimanevano ancora nel cortile, e quelle poche furono sbrigate nella stessa maniera degli altri. Ultimo affatto venne un canonico di s. Stefano, grasso e rubicondo che pareva avesse a gabbo tutti i contagi e tutte le carestie della terra. Egli sbuffava e dimenavasi irrequieto perchè Graffiapelle, il quale aveva il suo cane tra le mani, non rifiniva di visitarlo pelo per pelo, e scrollava il capo in aria di malcontento. Finalmente non potendo più contenersi, si abbassò all'orecchio del canattiere, e con una occhiata d'intelligenza, gli disse:
      - Ehi!


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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