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      L'armajuolo adunque, al quale era d'un tratto rinata la vita per la prodigiosa guarigione del cane, gongolava tutto dalla gioja e non vedeva l'ora che giungesse quel benedetto dģ della mostra per recarvisi insieme colla bestia e farla tenere in barba a quel tristaccio di Scannapecore. Anzi, aveva gią pensato a certa beffa da dire sul viso a quello scomunicato, quando avesse dovuto noverargli i quattrini, e parevagli con essa di cavarne vendetta a misura di carbone. Ma il valent'uomo aveva fatto i suoi conti senza l'oste, e la beffa era tornata a suo danno, e peggio. Nel mattino del giorno aspettato egli era sorto per tempo, e salutata con un bacio la moglie e stretto il fanciullino al seno, era uscito solo alla volta del Carobbio, perchč, sebbene confidasse assai in Martino, era troppo grande l'ansietą dell'animo suo per lasciare che andasse il garzone. Per via il cuore battevagli fortemente, e sebbene avesse cagione di star allegro, un segreto sgomento lo tormentava suo malgrado. Finalmente giunse davanti all'abitazione della vecchia Marta, la quale era posta a sinistra sul primo sboccar del Carobbio. Entra nella porticina bassa e scura, sale una scaletta coi gradini di legno, picchia all'uscio, ma nessuno risponde. Ripicchia pił forte e a molte riprese, sempre lo stesso silenzio. Che č, che non č? Al povero Stefano cominciarono a tremare le ginocchia, talchč fu costretto ad appoggiarsi all'assito della loggia. Ripreso fiato, si fa di bel nuovo a battere, poi chiama sommesso per nome, alza la voce, grida, strepita, ma invano.


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La cą dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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