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      Lo dicano quei lettori che si sono recati ad un convegno, se c'č caso che uno possa spiccarsi dal luogo fissato, prima d'aver battuto il selciato almeno un pajo d'ore, e se avviene che la noja lo trascini lontano, quante volte non sarą ritornato per tema d'aver isfuggita l'opportunitą. Lo stesso accadeva a Stefano. E questa speranza, o piuttosto gravissima molestia, fu sģ forte in lui, che dovette dar di volta e rivedere il Carobbio. Ma le cose erano ancora nel medesimo stato: appena quel luogo cosģ frequente e chiassoso dava indizio di vita, che gran parte delle case erano chiuse, e pił gran parte ancora smantellate. Dei cittadini pochi vedevansi per le vie, e que' pochi silenziosi e raccolti tiravano rasente il muro senza guardar in viso a persona. L'armajuolo trasse un grosso sospiro, e veduto fuggirsi anche quell'ultimo filo di speranza, tornavasene tristamente gił per la corsia, allorchč giunto che fu a mezza via, proprio rimpetto alla contrada di s. Ambrogio de' Disciplini, vide Martino che affannavasi correndo alla volta di lui, e pareva portasse nel viso qualche trista novella. Quando il garzone gli fu vicino, senza neppure pigliar fiato, gli gridņ:
      - E cosģ, messer Stefano, che cosa č avvenuto del cane?
      - Ah! Martino mio, rispose l'armajuolo, ajutami che non mi reggo pił.
      - Oimč, come siete pallido e stralunato, che cosa č stato, dite su, messer Stefano?
      - Che vuoi? tanto ne so io, che tu.
      - Ma la vecchia Marta?
      - Che il diavolo tormenti quel sozzo carcame di donna fino al dģ del giudizio.


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La cą dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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