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      - Ohimè! signor mio, diceva singhiozzando la povera Cecilia, se appena abbiamo di che sfamarci. Come volete che troviamo sì gran somma?
      - La troverete, sì, per s. Ambrogio che la troverete. Ringrazia il cielo se non ti chiedo in che guisa sia morto, perchè mal per te e per tuo marito, il quale, a quanto udii dire dallo Scannapecore, non deve avere la coscienza molto linda in quest'affare. Non so darmi pace che sia morto quel cane.
      Tonio, che fin allora era rimasto a capo basso e tutto rattrappito per lo spavento, udendo che al Duca doleva forte che quel cane fosse morto, s'avvisò di rimediare al male dicendo il vero, il perchè si fe' animo a parlare, e disse:
      - Con vostra buona licenza, messer Duca, il cane non è proprio morto, come morto, ma gli è come se fosse morto.
      Il Duca fisso gli occhi in viso a Tonio, al quale parve di sprofondare sotto quell'occhiata; poi voltosi allo Scannapecore, disse:
      - Che cosa intende dire costui con quel suo garbuglio di parole? Chi è questo scimunito?
      - Egli è il garzone dell'armajuolo, rispose eccitando un po' lo Scannapecore. Parmi aver detto alla signoria vostra, che l'armajuolo non venne trovato in casa, e che neppure si trovò il fanciullo coll'altro garzone.
      - E che cosa significa questo cane morto e non morto?
      - Eh! chi può cavare una parola assennata da quel balordo.
      - Balordo, sì, finchè si vuole, borbottò Tonio, ma infine quel ch'è vero è vero, e il cane non è morto.
      - A te dunque, disse il Duca volgendosi a Cecilia, è egli vero quel che dice colui?


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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