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      La Cecilia divenne rossa fin nel bianco degli occhi per essersi lasciata cogliere in bugia, la prima forse che avesse detto in vita sua: e sebbene le fosse accaduto per un fine retto, per distornare con una sola parola ogni ricerca del Duca, non perciò se ne vergognò meno, e ci volle alquanto prima che potesse rispondere. Finalmente, alzato il capo, disse timidamente come quella che adesso sentivasi rea:
      - Messer sì, il cane non è morto.
      - Orsù, dunque, che cosa è avvenuto di lui?
      La moglie dell'armajuolo fu imbarazzata da tale richiesta e non trovò parole pronte per rispondere: se non che Tonio il quale, a sua grande maraviglia, aveva raccattato un coraggio insolito, saltò a dire:
      - Con vostra buona licenza, messer Duca, il cane è scomparso e non si sa qual diavolo l'abbia portato via. Egli aveva un certo...
      Ma la Cecilia la quale temeva che Tonio raccontasse il fallo per disteso, e non voleva che il Duca sapesse della malattia del cane e della percossa datagli da Stefano, fu lesta ad interromperlo, e disse con voce franca:
      - È vero, il cane è scomparso di casa tre giorni sono, e non se n'è avuto più nuova.
      - Poltronacci traditori, sclamò il Duca, bel modo di guardare i miei cani! Ci vorrebbe ch'io vi facessi dar la corda, per servir d'esempio a tutti i gaglioffi pari vostri. Orsù, per ora resterete qui entrambi finchè non si sia rinvenuto il cane, o che abbiate sborsato i dodici fiorini d'oro. E tu, Scannapecore, fa di alloggiarli come meritano. È tempo ch'io torni al mio castello: mi sono soffermato anche di troppo qui.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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