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      VII.
     
      Per entro al bosco un monistero è sitoA cui sorge nel mezzo una chiesuola;
      Quivi l'uom si raccoglie e sbaldanzitoChiede il conforto di una pia parola,
      E spera, e prega, e compie il santo rito,
      E nell'alta quiete si consola;
      Qui piange assorto nelle idee più mesteMa d'un pianto dolcissimo, celeste.
      Poema inedito.
     
      In sulla sera dello stesso giorno l'armaiuolo era seduto in casa di Franciscolo coi gomiti appoggiati ad una tavola di quercia e col capo tra le mani. Egli era pallido, abbattuto, ma sul suo viso leggevasi ancora più l'ira e il dispetto che non il dolore. Il povero uomo non sapea darsi pace della scomparsa del cane, e andava fantasticando tra sè e fabbricando castelli all'aria, tanto più che le parole di Martino e l'aver veduto lo stesso Scannapecore far da sgherro alla sua Cecilia, gli avevano messi certi sospetti per la mente a tutt'altro atti che ad acchetarlo. Franciscolo lo andava guardando con aspetto di amorosa compassione, e taceva purchè quando il dolore è sì forte ed intenso le parole irritano anzichè consolare. Sulle prime s'era provato a fargli entrare un po' di speranza nell'animo; ma siccome neppur egli ne aveva, così i suoi tentativi riuscirono vani, ed egli dovette accontentarsi a pigliar parte all'angoscia di Stefano e piangere con lui. Il che aveva contribuito meglio che ogni altra cosa a sollevare il cuore di quell'afflitto, e a toglierlo alquanto dai funesti pensieri che l'agitavano. Ora Franciscolo gli si era avvicinato, e vedutolo immobile e quasi istupidito, gli faceva dolce violenza e prendevagli una mano tra le sue stringendola con affettuosa commozione.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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