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      Stefano vinto da quell'atto, alzò un istante gli occhi sull'amico, poi preso da un'insolita tenerezza, gli si abbandonò tutto fra le braccia, e si diè a singhiozzare come un fanciullo. Non mai come allora gli era parsa sì dolce l'amicizia di Franciscolo; nè lo stesso Franciscolo aveva mai sognato di volere un sì gran bene a Stefano; tant'è vero che anche cinque secoli addietro senza tante sdolcinature filosofiche sapevasi per pratica che il dolore santifica l'affetto. La qual massima antica come il mondo, si volle vender per nuova a' nostri tempi, e fu presa a pigione dai moderni novellieri che ne fecero un immenso sciupio.
      In quel mentre udissi un rumor di passi frettolosi, poi un bussar sommesso all'uscio. Franciscolo corse ad aprire, ma prima di alzare il saliscendi spiò dal buco della chiave chi stava di fuori, e non contento ancora domandò con voce trattenuta.
      - Sei tu, Martino?
      - Sì, son io, messer Franciscolo, aprite tosto.
      Infatti appena l'uscio fu aperto, Martino entrò tutto trafelante nella stanza e gettandosi sopra una scrana, disse:
      - Messer Stefano, il tiro è fatto, cioè non manca che il coraggio. Quel balordo di Graffiapelle, che stava là in bottega a guardia delle armature, m'ha impedito di entrare a visitar la casa, e forse avrei dovuto tornarne senza un costrutto, se quel ghiottone, preso forse dal vino o dalla noja, non si fosse addormentato sopra una panca. Però non mi arrischiai ad entrare in bottega, perchè se per caso si fosse svegliato e m'avesse trovato là, Dio sa che rumore faceva.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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