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      Forse sarei stato costretto per farlo tacere a ricorrergli un poco il groppone, e a dirvi il vero, non ho troppa voglia di tirarmi addosso qualche malanno. Son già entrato in un brutto affare, nè mi piacerebbe cadere in un peggiore.
      - Orsù, che hai fatto adunque? chiese l'armajuolo ansiosamente.
      - Che ho fatto? Il muro della casa non è tanto liscio che non vi si possa appoggiare un piede, e poi la finestra è così bassa, che l'entrarvi è una faccenda da nulla. Perchè quanto all'arrampicarmi, sarei capace di dare la scalata alla torre di s. Goliardo. Adunque saltai la finestra, che era aperta, e cheto cheto sulla punta dei piedi frugai così all'oscuro ogni angolo della casa, e chiamai più volte sommessamente: Marco, Marco. Ma oibò, nessuno rispondeva. Solo quando fui nella seconda camera, quella che guarda nel cortiletto, parvermi d'udire un gemito, ma debole e lontano, quasi partisse da luogo chiuso. Allora pensai che il fanciullo doveva essere nascosto in quell'andito del cortiletto, ove siete solito chiudere le ciarpe da gettarsi ai ferravecchi; ma poichè per toccare quel luogo, bisogna passar dalla bottega, così me ne tornai quatto quatto come prima, mi lasciai sdrucciolare dallo sporto senza che ombra d'uomo mi scorgesse, e corsi qui ad avvertirvi della cosa. Ora bisogna farsi cuore e tentare un colpo un po' ardito, ma che, spero in Dio, riuscirà a buon fine. Però spicciatevi, messer Stefano, prima che il vino abbia terminato di fare il suo uffizio in quello stordito. Per via vi dirò che cosa dobbiamo fare.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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