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      L'armajuolo si alzò da sedere, si pose il berretto sul capo, e con una mano frugò nel seno di sotto l'abito per cercarvi uno stiletto che da tre giorni in poi portava sempre con sè. Rassicuratosi, fe' l'atto di andarsene, ma prima voltosi a Franciscolo gli strinse la mano, dicendo:
      - Iddio ti compensi del bene che m'hai fatto quest'oggi, e ad entrambi faccia la grazia di trovarci in condizioni migliori. Se mai ricupererò il fanciullo, come spero, stassera andrò a rifuggirmi nel convento degli Umiliati presso il padre Teodoro, e poi chi sa... forse dovrò uscire di questo paese. Che se mai cadessi nelle unghie del Duca, o dovessi lasciar la pelle con que' birbi che vorrei spacciare tutti da questo mondo; allora, ricordati di me, e di' un po' di bene per l'anima mia.
      Franciscolo non potè rispondere, tanto aveva il cuor gonfio, ma gli strinse la mano fortemente e sentì inumidirsi gli occhi. Anche Stefano ripassò col rovescio della mano sopra la guancia per asciugare una lagrima che gli sgocciolava sul mento. Finalmente staccatisi, Stefano uscì sulla via insieme con Martino, e stretti a colloquio, s'avviarono di conserva alla volta degli Spadari.
      Quando furono arrivati sull'angolo a un passo dalla bottega, Martino trattenne Stefano e avanzossi solo, piano piano, che pareva camminasse sulle uova. Là tese l'orecchio, e udito che il canattiere russava tuttavia, pose in mano a Stefano un grosso ciottolo da lui raccolto per via, e in due salti, lesto lesto, fu sul davanzale della finestra.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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