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      Allorchè, deposto ogni pensiero di guerra, si ritrasse a vivere tranquillamente nel palazzo de' suoi maggiori, di cui non rimanevagli che la madre, nel frequentare che faceva alcuna volta la corte di Barnabò, aveva posto gli occhi sopra Verde, primogenita del Duca, la quale entrava appena allora nella prima giovinezza, ed appariva bella sopra ogni altra principessa de' suoi tempi. La fama del Lampugnani, i suoi modi nobilmente cortesi, la grazia del favellare, l'avvenenza della persona, fecero sì, che la donzella lo notasse fra tutti i giovani milanesi, e mostrasse maggior piacere della sua presenza che di quella d'alcun altro. Almeno così era sembrato ad Uberto, e sebbene gli occhi dell'amore ingannino sovente, forse ciò era vero. Pertanto a poco a poco gli era venuto sorgendo nell'animo un desiderio sconosciuto, una smania, un affetto, dapprima combattuto, poi trionfante; infine soverchiante ogni suo sentimento. Ma questo amore era per lui affanno continuato, perchè ben sapeva qual distanza passasse tra lui e la figliuola del Duca; tanto più che l'orgoglio di Barnabò gli poneva innanzi soltanto re e principi a cui maritare le sue figlie. Inoltre l'austerità de' suoi principii non gli avrebbe permesso di divenir genero ad uno ch'egli era costretto a disapprovare e quasi ad odiare siccome il più crudele nemico della patria sua. Ond'è che combattuto da sì dolorosi pensieri durò alcuni anni nella sua vita tranquilla e ritirata, soffocando sempre quella fiamma che dentro lo ardeva: finchè andatane Verd


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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