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      Un corriere spacciato questa notte mi recò la triste novella, che i miei furono cacciati, e che gli abitanti sì dell'uno che dell'altro paese hanno inalberato lo stendardo pontificio.
      - Padre mio! sclamò Rodolfo, datemi quattrocento lance, e lasciate fare a me a mettere a segno que' ribaldi e a far loro ribaciare il biscione.
      - Tu hai bel dire, ragazzo mio, bisognerebbe che la peste non avesse spazzato Milano di due terzi e più degli abitanti, e che si stesse meglio a danaro di quel che or siamo. Ma coi tempi che corrono, non monta sciuparsi intorno a due terricciuole, quando imminenti e più gravi disastri ci stanno sopra.
      - Che? domandò Lodovico, vi sarebbero ancora altri malanni?
      - Pur troppo, ed è perciò appunto che non voglio assottigliare le mie truppe. Anche Pavia e Piacenza e Vigevano minacciano di staccarsi da Milano per darsi al papa, e già buona parte dei signori si sono ribellati apertamente. Ma quelle città mi stanno troppo a cuore, e per Vigevano e per Piacenza ho già pensato; quanto a Pavia, mio fratello Galeazzo a quest'ora n'è informato, e non istarà colle mani alla cintola.
      - Ma questa è dunque una guerra sorda che ci fa il pontefice, disse Gavazzo Reina.
      - Altro che sorda! soggiunse Barnabò, ei m'è venuto addosso colle armi spirituali e temporali ad un tempo, ed io devo cingermi di doppia corazza per far fronte a' suoi colpi. Figuratevi che non volle mai concedere al duca Alberto d'Austria che togliesse in isposa Violante mia nipote, e che tutte le istanze che fece quel bravo principe andarono vane.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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