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      Mi sembra mill'anni che ne son lontano.
      I due figliuoli di Barnabò appena udito il cenno, salutarono il padre ed uscirono, e i tre consiglieri, che videro di non aver più nulla a fare ivi, presero essi pure rispettosamente commiato e se ne andarono. Barnabò intanto senza muoversi da sedere, col capo tuttavia appoggiato alla mano destra, facevasi a dettare una lunghissima, lettera che incominciava - Magnificentiae tuae salutem. Quod de negotiis incohatis cum Romana Ecclesia nullum resultatum evenerit, ecc. ecc. Della qual lettera, citata per intero dal cronista, ora risparmiamo la noja ai lettori, riserbandoci di pubblicarla insieme cogli altri preziosissimi documenti, o di cederla, quando avverrà che il nostro racconto sia ristampato colle solite note ed illustrazioni storiche.
      La lettera era appena compiuta, e il Duca erasi tolto dal suo seggio per apporvi la firma ed il suggello, quando dalla via gli giunse all'orecchio uno strano rumore di grida allegre e di risa, accompagnate da alcune voci da prima umili, poi risolute. Barnabò maravigliato di ciò, comandò al Medicina, che discendesse giù nel cortile e chiedesse della cosa. Intanto egli erasi riposto a sedere, e diceva tra sè carezzando l'alano che gli faceva intorno una festa grande:
      - Io non so perchè questa Chiesa benedetta sia tanto schizzinosa, e si pigli sì gran fastidio per ogni filo d'aria che le dia in su una guancia. Che importa a lei di quattro pretonzoli messi fuor di prebenda, e di qualche abate impiccato? Alla fine costoro erano miei soggetti prima che divenissero ecclesiastici, e su di essi la mia podestà è più antica e più immediata della sua.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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