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      Costui, quando Barnabò gli ebbe comandato di trattenerli come ad ostaggio e di collocarli in qualche angolo del palazzo, pensò che nulla di meglio poteva avvenirgli, e che quella volta gli cadeva proprio il formaggio sui maccheroni. Laonde, pigliata per una mano la Cecilia, che si lasciò condurre silenziosa e come istupidita, la fe' passare per un labirinto di anditi e di corritoj, su e giù per mille rivolte e scalette a chiocciola, finchè giunsero in un canto affatto deserto, ov'era una volta il ricettacolo dei mastini, prima che il Duca li volesse distribuiti ai cittadini. Ivi, aperto un uscio tutto foderato di ferro, invitò la Cecilia ad entrare in una stanzuccia umida e nera che meritava piuttosto il nome di buca, nella quale entrava un po' di luce da un'apertura fatta al basso del muro, alta due piedi da terra. E anche quel barlume era tolto per metà da una inferriata grossa quasi come un braccio, nella quale la ruggine faceva contrasto colla pulitezza e colla levigatura che scorgevasi qua e là. La quale pulitezza dinotava chiaramente quali fossero stati in addietro gli abitatori di quella specie di prigione, e come i mastini che vi si erano esercitati intorno coi denti non fossero la più pacifica genìa di animali. Nè quelle forse saranno state le sole tracce del loro soggiorno; ma sia che la luce venendo dal basso non rischiarasse che una piccola porzione di terreno, sia che si avesse avuto cura di togliere ogni vestigio, il fatto è, che non vi si scorgeva alcun segno delle violenze e delle stragi che forse ebbero luogo là dentro.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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