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      Di che quei birbi che l'avevano tolto in mezzo formavano uno spettacolo assai giocondo che studiavansi con ogni mezzo di prolungare.
      In quel mentre lo Scannapecore, che tornava dall'aver condotto Cecilia, nel passare vicino al cortile, attratto forse dal rumor delle risa o dalle grida di Tonio, fe' capolino da un andito, e visto il giuoco, s'innoltrò tosto per avere la sua parte di sollazzo.
      - Bravi figliuoli, disse volgendosi ai compagni, già con voi altri basta dirvi le cose all'aria. Ben fatto. E tu, Tonio mio, soggiunse poi fatto vicino al garzone che batteva i denti dalla paura, come ti piace il luogo e la compagnia che t'abbiamo assegnato?
      Il povero Tonio fe' l'atto di alzar gli occhi sul viso del canattiere come per implorarne misericordia, ma la paura glieli tenne inchiodati sopra un mastino di smisurata grossezza che gli ringhiava rasente le gambe. Allora volle aprir bocca per pronunciare non so che parole di preghiera; ma un movimento del cane gliele cacciò di nuovo in gola, e non ne lasciò uscire che uno strano brontolio, un rantolo quasi di moribondo. Lo Scannapecore s'accorse dell'atto e, posta una mano sulla spalla del garzone, e coll'altra abbassatosi ad accarezzare il cane, gli disse:
      - Sta cheto, figliuolo mio, non aver paura, che questo cane non ti farà un male al mondo. E poi a quest'ora non ha voglia di mordere, ed ha il ventre pasciuto come quello d'un eremita. Questa mattina ha fatto una lauta colazione in compagnia d'un fanciullo che gli fu dato a commensale: se nol credi puoi vederne gli avanzi a due passi di qui.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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