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      Finalmente, fossero le cure prestategli, o l'efficacia dell'aceto, o fors'anche la stessa paura, la quale, quando piglia, farebbe balzar dal letto un moribondo, il garzone aprģ gli occhi e li volse all'ingiro come in atto di riconoscere quel luogo. Ma veduto di bel nuovo i cani vagar pel cortile, e quelle facce scomunicate che gli stavano dappresso, li richiuse prestamente come per sottrarsi alla molestia di quell'aspetto. Se non che allora ei non era gią nel suo leticciuolo della bottega di Stefano, nel quale allorchč svegliavasi il mattino e cacciava fuori il capo dalle coltri, se non udiva rumore, si voltava dall'altro lato e ripigliava il sonno quand'anche il sole fosse gią alto sull'orizzonte. Adesso egli ebbe un bel stringere le palpebre e far forza alla mente; le imagini dello spavento avuto erano troppo presenti, per non tenerlo desto, sicchč dovette proprio riaprire gli occhi e sollevarsi un po' sopra un gomito. Il suo primo atto fu quello di toccarsi colla mano in tutte le parti del corpo dalla testa in gił, per assicurarsi di avere le membra intatte, e il primo suono che gli uscģ di bocca, fu un sospiro accompagnato da un gemito cosģ doloroso, che i canattieri ne risero a creppapelle. Il poveretto dolorava per tutte le ossa a cagione della caduta, e ad ogni movimento che faceva per alzarsi, sentiva una doglia, uno spasimo non mai provati. Alla fine, ajutato dai canattieri, giunse a rizzarsi in piedi, ma poichč non trovava forza di camminare, e a quei tristi cominciava a parer lungo il trastullo, fu tolto sulle braccia dallo Sciancato e dallo Scortica e portato fuori del cortile nel luogo a lui destinato.


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La cą dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





Stefano Sciancato Scortica