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      Quanto a me, il Signore mi ha chiamato, e quello è il mio posto, e quell'altro appartiene al padre Andrea. - A questo punto svegliossi, chè la notte era ancora alta, nè potè più riappiccare il sonno. Se non che quella apparizione, che le era sembrata così vera, quelle parole soavi dettele dal frate, e quella promessa di felicità, le aveva infuso un po' di tranquillità nel cuore, talchè le lagrime non le piovevano più così dirotte, e i singhiozzi erano meno frequenti. Finalmente, venuto il dì, e insieme colla luce la speranza, sorse in piedi e avvicinossi alla finestra, tanto per riconoscere il luogo dov'era stata condotta; ma la finestra, come abbiam detto, anzichè ricevere la luce dall'alto, la riceveva dal basso, e non alzavasi più di due piedi del suolo, sicchè non lasciava vedere che poco spazio di terreno al di fuori. Quanto al cielo, la vista n'era affatto vietata. Lo Scannapecore aveva scelto a bella posta quella topaja, prima perchè era lontana da ogni luogo abitato, poi perchè voleva sgomentare anzi tratto l'animo della Cecilia e piegarlo col rigore. Il suo piano ei l'aveva già bell'e formato, e sperava che mostrando tutta la severità in sulle prime, poi raddolcendosi a poco a poco, avrebbe conquistato quell'animo schifo, salvo ad adoperare la violenza a caso disperato.
      Ma questa volta il nostro canattiere aveva fatto i conti senza l'oste, perciocchè il dì appresso, mentre appunto stava per avviarsi alla volta della prigione, lo raggiunse un messo spacciato in fretta in fretta dallo Sciancato, il quale avvertivalo di tenersi in pronto con un centinajo di cani per recarsi tosto a Marignano a scortare il Duca nella caccia che voleva tenere.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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