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      - Però nel convento dove i due frati, e specialmente il padre Teodoro, erano tenuti in gran conto, e, cosa rara, erano amati da tutti, l'annunzio della loro esecuzione produsse un senso straordinario. Appena la notizia ne venne, l'abate fe' chiamare i frati a concistoro, e con un breve discorso esortandoli alla rassegnazione ed alla pazienza, e proponendo loro quei due siccome modelli di virtù, volle che si celebrassero le loro esequie con tutto il decoro che convenivasi alla circostanza, e che i loro nomi fossero venerati siccome quelli di due martiri della fede di Cristo.
      Come rimanessero poi il nostro armajuolo e il garzone nell'udire quel fiero caso, è più facile imaginarlo che esprimerlo con parole. Allorchè quel frate Pasquale, di cui serbava grata memoria il ventre di Martino, venne a darne la nuova nella cella ov'erano raccolti i due sventurati in compagnia del fanciullo, Stefano si lasciò cadere sopra una seggiola come colpito dalla folgore, e Martino non ne fu meno dolente e maravigliato. Il povero armajuolo pensò in quel punto che la misericordia di Dio l'avesse propriamente abbandonato, giacchè per aggravare la sua sventura aveva perfino sagrificato due de' suoi servi. A tale idea si strinse il capo nelle mani, quasi in atto di tenerlo a segno, e invero sentiva che la sua mente non poteva reggere a tanto succedersi di sventure, e dubitava di sè, degli uomini e perfino del Signore. Frate Pasquale, vedendolo così addolorato, stimò più opportuno lasciarlo solo e libero di sfogarsi, tanto più ch'egli stesso aveva troppo il cuore gonfio per la morte de' suoi confratelli per poter consolare altrui.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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