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      Quando poi vide il garzone entrare tutto allegro nella cella, il cuore gli saltò di gioja, e tesagli una mano, gli disse affannoso:
      - E così, com'è andata?
      - Benone, messer Stefano, non poteva capitar meglio. L'ho detto io, che chi cerca trova, e chi non vuol cercare suo danno.
      - Via, spicciati, di' su, non tenermi in questa ansietà, disse l'armajuolo respirando appena.
      - Ih! ih! messer Stefano, adesso v'è tornata la fiducia, neh? disse il garzone. Ma non importa, ora non voglio darvene cagione. Sappiate intanto che il cane è trovato.
      - Trovato, dici? propriamente trovato? sclamò l'armajuolo, che tu sia benedetto, figliuol mio, tu mi torni in vita. E dov'è quella bestiaccia, dov'è?
      - A bel bello, messer Stefano, un cane non è mica un balocco da mettersi in tasca, e nemmeno si può condurlo via così sui due piedi.
      - Ma l'hai almeno veduto, chiese Stefano.
      - Neppure.
      - Ma in che modo dunque l'hai trovato? parla una volta in nome del cielo?
      Se mi lascerete dire, parlerò, rispose il garzone. Ecco qui la cosa come avvenne. Uscito di qui, corsi difilato alla casa della vecchia Marta, e su per la scala, e siccome trovai l'uscio socchiuso, entrai a dirittura. La vecchia si volse a un tratto, ma sulle prime non mi riconobbe; poscia, quando ebbi sbarazzato il viso, gettò un grido e mi corse incontro: - Che? siete voi, proprio voi, che vedo? - La ribaldaccia mi credeva già ito a ingrassar cavoli. Io allora fo muso da saraceno e le dico - Dov'è il cane? - Ed essa - Ah! sì poveretti, lo so che avete patito molto a cagione di quella bestia - Ed io sempre più fiero.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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