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      Pertanto accomodatosi come meglio potè il fanciullo sul braccio sinistro, brandì colla destra un coltellaccio che teneva seco ad onta del divieto del Duca, e collocossi allo sbocco della porta, dicendo tra sè: - Per Dio, se c'è alcuno dentro, dovrà passare di qui, se pure non è un fantasma.
      L'armajuolo intanto aveva salito la scaletta, e trovato l'uscio aperto, era entrato nella stanza della vecchia Marta. Costei stava seduta davanti a un gran cammino, che era tutto l'ornamento di quella camera, e con un ferro andava attizzando sul focolare quattro carboni che minacciavano di spegnersi ad ogni istante. Dal cammino pendeva una pentola, in cui bolliva non so che strano intingolo, il quale mandava un odore sì perfido da appestare le nari di qualunque cristiano. La camera era illuminata soltanto da quel meschino fuoco, ond'è, che tranne un po' di spazio all'intorno del focolare, il restante giaceva nell'oscurità. Al primo entrare dell'armajuolo, s'udì qualche cosa agitarsi in quel lato della stanza non rischiarato, e un brontolìo sommesso come di un cane che si svegli; ma un sibilo della vecchia bastò a tornare ogni cosa in silenzio. Stefano, che aveva udito quel brontolìo e quel dimenarsi, riconobbe tosto l'animale e sì sentì allargare il cuore dalla gioja, non però in guisa che non si volgesse sdegnato alla vecchia e le dicesse:
      - Or via, Marta, la coscienza v'ha finalmente parlato? V'è rincresciuto una volta del male che avete fatto alla povera gente? Meritereste che io mettessi a bollire le vostre ossa dentro quella pentola, vecchia sciagurata.


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La cà dei cani. Cronaca milanese del secolo 14.
cavata da un manoscritto di un canattiere di Barnabo Visconti
di Carlo Tenca
Editore Borroni e Scotti Milano
1854 pagine 168

   





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