Pagina (15/255)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      - Gli accesi candelieri caddero d'in sull'altare, un traverso della croce si ruppe, ed il Cristo rimase col braccio destro inchiodato e disteso.... Come in atto di fulminare. - Ogni cosa era sossopra, il sangue correva a rivi fumanti. Davanti all'eremita i nostri guerrieri si facevano scannare, uno gli rottola ai piedi inzozzandogli le mani e gli abiti pontificali di sangue; in quel mentre Federico trafigge a furia di sproni il suo cavallo, e tenta farlo salire di sbalzo sul carro. - L'eremita gli si pianta di faccia, e sollevata la destra insanguinata, scaglia sul capo del Barbarossa le parole della scomunica fulminategli dal papa, Anathema, anathema tibi sit!
      Il volto di Federico diventò livido come cenere; il suo cavallo sbuffando, a criniera svolazzata, retrocesse, e colle larghe narici fiutò lungamente il terreno. Federico, come leone che si flagelli colla propria coda, cercava ridestar la sua smarrita ferocia.
      Frattanto cosa fanno i trecento, perchè non si precipitano essi pure a morire per la patria e per la libertà?
      I trecento sono discesi da cavallo, hanno posto il ginocchio a terra e baciano il suolo. - A quella vista l'imperatore con alta voce di scherno grida: «Ecco i vili Italiani che mi domandano misericordia».
      O Imperatore imbecille, gl'Italiani non dimandano misericordia che a Dio.
      I trecento non risposero, tranquillamente risaliti in sella abbassarono le visiere, calarono le lancie, e solo allora ruppero il silenzio con un terribile: Viva l'Italia! e spronarono. Parve che il Dio delle vendette avesse finalmente sprigionato i suoi fulmini.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Cronaca della rivoluzione di Milano
di Leone Tettoni
Editore Wilmant Milano
1848 pagine 255

   





Cristo Federico Barbarossa Anathema Federico Italiani Imperatore Italiani Dio Italia Dio