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      E la festa non era municipale, era italiana, come italiana fu la pugna che abbiamo combattuto. Un fascio di bandiere tricolori li precedeva, e il saluto, e gli evviva e le grida di tutta la popolazione accorsa sul cammino li accompagnarono fino all'ingresso del Duomo. Qui l'allegrezza si trasfuse in un senso universale d'adorazione; la moltitudine stipata ascoltò con religioso raccoglimento la messa solenne celebrata dall'Arcivescovo, e accompagnò col cuore i concenti, che dall'altare salivano tripudianti al Dio datore d'ogni libertà. Nuovo e maraviglioso spettacolo quel vincolo misterioso che in quel punto confondeva quasi il cielo colla terra, e rinverginava in tutti la fede coll'aspetto d'una provvidenza redentrice delle nazioni.
      Terminato l'inno, e benedetto il popolo dall'Arcivescovo, il corteo sfilò di bel nuovo uscendo preceduto dalle bandiere, e, dopo aver fatto il giro della piazza, s'avviò al Palazzo Marino. Fu allora che la gioja, non più compressa dalla venerazione, scoppiò in gridi entusiastici, in applausi, in lagrime, in abbracciamenti. Era un susulto, un fremito indescrivibile. L'aspetto della Guardia civica, militarmente schierata, che sfilava sotto i balconi del palazzo, accrebbe ancor più la comune esultanza. Quella gioventù bellicosa, che marciava sotto l'armi in bell'ordinanza, a guise di truppe già esperte, quel contegno animoso e tripudiante, quelle bandiere sventolanti, quell'insolito suono di tamburi, eccitavano, esaltavano la moltitudine. Gli eroi delle barricate eransi già trasformati in esercito di soldati, forte di parecchie migliaia, e il popolo salutava in loro i prodi suoi difensori.


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Cronaca della rivoluzione di Milano
di Leone Tettoni
Editore Wilmant Milano
1848 pagine 255

   





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