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      Egli giovane e caldo d’affetti, appunto per questo non ama quel fervore del parlare ch’è cosa forzata; non l’abbagliano le masse dei colori forti, le bellezze di maggior violenza, i lampi di fantasia con tempesta d’affetti: non gli piace quella discordanza deforme che fa gli scrittori simili a femmine che imbizzarriscono. Vuole che nella scelta de’ libri di stile puro badisi alla purità del costume, il cui danno non è compensato da una montagna di modi eleganti. E di morale tinge le sue imagini ragionando di lingua; sani ingegni, succhi incorrotti, integrità di parlare, favella innocente: e nella semplicità dello stile richiede accortezza, così come nel sentire e nell’operare; accortezza a discernere la bellezza vera dall’imbellettata, ch’è non facile, appunto come discernere la virtù dall’infingimento della virtù. E l’una e l’altra egli sente dover essere mite e temperata, moderata in un suo essere e a norma di ragione; e che da quella moderazione del bello, come dal fondo dell’opera, le fantasie ardite e gli scatti del cuore più vivamente risaltano. E continuando la comparazione morale, avverte che gl’ingegni formati a bellezza vera possono poi studiare anco i libri di genere meno eletto, come l’anima assodata negli abiti del bene e del vero non l’atterra nè infrange l’aspetto dell’umana corruzione, anzi la vista di lei, e la meditazione de’ traviamenti e delle pazzie umane, più il consolida sulla sua base, e il petto gli fornisce di sapienza e di consiglio a profitto e lume altrui.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147