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      Raccomanda quegli scrittori segnatamente che, ricevuta la pura favella, in sè con la ragione e con l’arte la invigorirono; e chiede se ne stampino scelte, non però di squarci troppo minuti ma che offrano l’effigie dello Scrittore; confessando del resto che in tali letture vuolsi di molta varietà, e che una diversa scelta per ciascun giovane forse si converrebbe. Confessa insieme che lo studio non può nè far forza alla natura nè compensarne tutti i difetti; e ridice col suo Petrarca Che stile oltra l’ingegno non si stende; e distingue cose che nelle antiche e recenti baruffe si sono confuse e quasi abbaruffate insieme: lingua, stile, pensieri. Ridice con Cicerone che senza le idee l’adornamento delle parole è puerile, ma appunto con ciò rende il peso debito alle cosucce della lingua perche intende come gli scrittori sfiorati di lingua con que’ loro vocaboli annebbiati dimostrino la caligine e aridità delle idee; e ne’ periodi stirati o rattratti, senza giunture nè nervi vede la fiacchezza o deformità de’ pensieri. Sterminare la lingua chiama egli il depravarla, accennando a quella indeterminazione d’idee che viene da leggero artifizio, tutt’altra da quella indeterminatezza feconda ch’è naturale alla capacità della mente, e tanto più ampia quanto più sono le menti capaci. Nel costrutto desidera salda e vera conformazione, e che il portamento di quello sia bene atteggiato e mosso; e in queste belle parole conchiude le buone qualità dello stile: proprietà e varietà, freschezza e ingenuità, distinzione e aggiusiatezza del costrutto.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





Scrittore Petrarca Che Cicerone