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      Ma sentendo e per istinto e per meditazione il possente vincolo delle piccole cose con le grandi, non vuole neglette quelle finezze e quelle mezze tinte nelle quali dimora la perfezione come della pittura così dell’orazione. E sentendo fin d’allora come il comune sia unico fondamento e di verità e di bellezza e di giustizia e d’unità, chiede al dire foggie ardite ma insieme maniere comuni cioè suggellate dall’uso, le cui ricchezze chi ben possiede, non va in cerca di strane singolarità. E però il parlare improprio, egli lo chiama angusto e ristretto a sè stesso, come d’uomo che rinneghi la sua nazione, anzi la comune natura.
      Questo senso di civiltà, d’italianità, d’umanità è nella lettera del Rosmini con forza significato; che non solamente e’ ripete col Salvini che le forme straniere non tanto hanno arricchita la lingua quanto indotta in lei ingrata e stupida obblivione de’ modi natii, ma lo scrivere sudicio e forestiero egli chiama morbo deforme e crudele artifizio e ignominia e viltà, e quelle de’ suoni stranieri onte nostre. Egli aveva però detto che ingegno fortemente educato ritrarrebbe dagli stessi pericoli stranieri grandezza, robustezza e dignità; e, qui soggiunge che ha le sue bellezze il francese, ma che l’italiano a voler contraffarlo qual è adesso si disnoderebbe e si disfarebbe. E alle anime italiane e gentili raccomanda che s’indirizzino ad ottenere un linguaggio comune, splendido e fermo; e vorrebbe a ciò un consesso nazionale davvero; e che il pubblico Magistrato, come per ingegno e per nobiltà di pensare così soprastesse agli altri per eccellenza di favellare; e che il libro più augusto della nazione non solo per provvidenza e per sapienza e per giustizia ma ancora per massima perfezione di dicitura, dopo gli eloquî divini fosse il Codice, e così per eccellenza a diritta ragione si nominasse siccome quello che in un tempo dipingerebbe il pensare, l’operare esteriore ed il parlare di un popolo grande.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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