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      Così scriveva un giovane di poco più che vent’anni; e nel riandare le splendide orme degli antichi, desiderava rinnovellato ogni cosa; e richiedendo che la lingua cioè il pensiero fosse recata alla propria natural perfezione, confessava: più da natura che da artifizio è bellezza. Ma non lo illudevano le speranze, nè facili credeva i rimedî del male, e l’avvedersene aspettava dalla tarda esperienza de’ mali effetti che ne usciranno: anche in ciò costante a se stesso, che l’altezza e velocità de’ suoi desideri non lo involava al sentimento e alla compassione dell’umana tardità e debolezza. E però su quest’opera giovanile mi sono fermato tanto, perchè la tengo, più che un preludio, un’opera degna di lui; e perchè considerando quella ricchezza di memorie e letterarie e filosofiche, e greche e latine e italiane di tutti i secoli conserta al suo dire, sì scelta e sì appropriata; e quegli accenni rapidi a sentenze e locuzioni di scrittori grandi che nella sua parola sono immedesimate, e paiono più acquistarne luce che dargliene e attestano i molti e squisiti suoi studi; considerando quelle pure e lucide forme ch’egli usa, que’ valenti vocaboli, quella dovizia di dire, e quella vigorìa d’entusiasmo che spira dalle parole modeste, segnate da me con altro carattere fedelmente; mi pare di poterne arguire che s’egli, rapito dall’abbondanza e novità delle idee che doveva diffondere e dalla carità che gli raccomandava il sacrifizio delle cure minori più raramente dilette, non avesse interrotta l’opera dello stile, l’Italia, com’ha un secondo Aquinate, avrebbe il suo Platone ed il suo Bossuet.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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