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      I quali la morte venne via via mietendo, non sì che non gliene restassero de’ primi, e che altri fidati non gli si aggiungessero via facendo, più atti forse a stimarlo, ma non tutti abbracciati con quella pienezza d’affezione che stringe le amicizie della prima giovinezza. E di quel vuoto fattosi intorno a lui si doleva il Rosmini, sebbene rassegnato e avente fede nel consorzio degli spiriti e nella immortalità dell’amore; e la memoria de’ cari perduti coltivava come pianta ospitale provvida d’ombre allo stanco viandante e di frutte odorate. Di Maurizio Moschini, giovane buono che fu suo lettore e attendeva a studi altri da’ suoi e incomparabilmente minori, conservò ricordanza religiosa; e in versi lo pianse; e lo fa interlocutore di suoi Dialoghi filosofici, ponendone, al modo che Agostino fa, il nome senza il casato, per gentile modestia, e come d’uomo che a tutti doveva essere noto siccome a lui. Ebbe amico tra gli altri Giovanni Stefani, amico a me e come fratello, il quale da trent’anni lontano dall’Italia, conservò e l’amicizia del Rosmini e l’anima pura e il cuore Italiano, e Italiano il senso del bello; e si rammaricava, ma non s’irritava, ch’egli, lo Stefani, non desse frutti quali doveva d’ingegno; tanto l’amicizia e la virtù lo facevano indulgente a’ difetti da’ quali più la sua natura aborriva. Gli fu scrittore ed amico D. Paolo Orsi, anima mite e serena: e io credo che il poter dettare a uomo con cui si consenta, e che del tuo pensiero che mano mano si venga svolgendo congioisca col cuore insieme e coll’intelligenza, gli sarà stato non pure alleviamento di fatica, ma benefica ispirazione.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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