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      E invero chi legge l’Antropologia crederebbe quello lo sforzo ultimo d’un gagliardo ingegno, nè oserebbe pretenderne la Psicologia e nè imaginarla. Le citazioni stesse de’ luoghi delle Scritture ch’egli illustrò di passaggio, ordinate, farebbero men vivo dall’un lato e più vivo dall’altro il desiderio di quel perpetuo comento della Bibbia ch’egli con la contemplazione ancor più che con la scienza, e coll’affetto dell’anima meglio che con gli studi preparava.
      Nella Bibbia e ne’ Padri avendo formato l’ingegno e l’animo, ci aveva formato lo stile, non nelle estrinseche forme (che quello non è stile, è maniera, eco od ombra), ma nello spirito intimo. E coloro a cui pareva sospetta in esso la novità del linguaggio, non s’avvedevano quanto più parco egli fosse in ciò di tanti altri filosofanti non sospetti punto, quanto i modi suoi novelli consuonassero nella Italianità e nella Cristianità alle dottrine tramandate da’ secoli e al fare de’ Padri. I quali del resto hanno quasi tutti, ciascheduno fra sè, varietà nel linguaggio, e modi diversi di sentire e sovente di dimostrare la verità; i quali modi darebbero ombra a certi zelanti moderni, moderni troppo pel mal cauto amore della non bene intesa antichità. Nè soli i Padri delle prime età della Chiesa peccano di coteste varietà, le quali ad essa sono negli occhi de’ veraci amatori ornamento di vereconda ricchezza; ma tutti i grandi ingegni di cui la religione si onora, da Gregorio il grande a Bernardo, da Bonaventura al Gerdil, hanno tutti un loro fare, un loro dire proprio, il quale non fu, ch’io sappia, cagione di scandali.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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