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      Fatto è che di grandi uomini abbiamo esempi i quali sin dal primo affidandosi alla luce pubblica diedero saggio di sè memorando; e d’altri de’ quali le prime prove, ancorchè men felici, giovarono a ricevere consigli e rimproveri in tempo quando la mente docile ed agile poteva profittarne per volgersi a meglio. In que’ pochi che tardi si misero in cammino, sentesi nella pienezza stessa del vigore un che d’incerto e non franco; che se nelle opere di poi non appare, anco questa è prova che s’eglino cominciavano prima, si sarebbero perfezionati anche prima. Al Rosmini giovò, cred’io, da’ prim’anni scrivere per la stampa; sebbene si venisse poi più e più maturando infino all’ultimo della vita. Più assennati che di giovane erano i giudizi di lui sugli autori, ne’ quali egli cercava l’accordo di tutte insieme le facoltà della mente e i doni dell’arte, dico il raziocinio e la fantasia, l’erudizione e l’affetto, la severità e l’eleganza. E non è vero che la fantasia a lui mancasse, che aveva libero il capo da quella fantasticheria di fantasmi tra grossolani e vani dietro a cui corrono i ragazzi barbuti, scolari infino alla morte: ma la potenza del ragionare e dell’amare non può mai dividersi da quel vigore d’immaginazione che riflettendo genera, rappresentando ricrea, ed è una specie di visione luminosa e di apparizione rivelatrice, siccome suona lo stesso vocabolo fantasia. Senonchè uomo anche lui e giovane, l’esagerazione di taluno di questi pregi in altrui non l’offendeva allora tanto, e la bontà della intenzione gli velava i difetti.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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