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      Egli in gioventù ridiceva, dando a sentire quant’alto lo sentisse, quel che Agostino dice d’un giovane: Horrori mihi erat ingenium illud. E gl’ingegni grandi, a lui che sapeva e amava ammirare, mettevano un lieto sgomento; come quando il poeta fra le bellezze della terra e dell’acque e del Cielo sereno dice pien di spavento(3): Costei per fermo nacque in Paradiso, meglio dell’altro: Che di vederli in me stesso m’esalto. Il Rosmini, con la coscienza di sè umile ed alta indovinava gl’ingegni ignoti a sè stessi, e li aveva in riverenza come cosa divina; sempre però distinguendo il divino dall’umano, e non solo astenendosi dal piaggiare o dal condiscendere, ma con la lode stessa ispirando umiltà. Quel ch’egli insegnò de’ gradi del bene, cioè dell’essere, lo sentì per istinto; e a ciascun grado commisurava la stima e l’affetto, avendone in sè la norma suprema. La qual cosa e’ significa con una sentenza che par suonare ironia, come sogliono le cose vere dette con semplicità, ma è seria molto: E potrei io rendere all’uomo la stima ch’egli si merita se non m’avessi l’idea dell’uomo? e mi saprei io punto che l’uomo val più del bue, che non debbo sommettere a questo quello, se nell’idea che ho della natura umana non ne leggessi la dignità? Sapeva egli apprezzare un pregio, anche solo che fosse: e un giorno che parlavasi di certa scoperta elettrica fatta dal veronese Zamboni (che villeggiava anch’egli in autunno a Rovereto, e facevano di quella terra un’Accademia tra urbana e arcadica, tra grave e gioviale, ma di cordialità ai letterati d’oggidì inusitata e incredibile), dimostrando io di non ammirare quella scoperta come gloria durevole, e altri sdegnandosi della mia irriverenza, egli senz’aria di riprendere nè me nè l’altro, rispose con voce piana: immortalità di cartone.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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