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      E sulla Pedagogia in generale e sul Metodo meditava teoricamente; e ne lasciò lavori abbozzati. Ma la pratica di queste cose e’ non voleva serbata per privilegio a’ preti; e affermava che tutti i fedeli, i padri di famiglia specialmente, debbono a certi ministeri del sacerdozio partecipare. E per comprovare la conciliazione perpetua delle due cose, egli parroco nel 1835, occupato in tante cure spirituali e già autore illustre, non isdegnò di rimettere il piede e di leggere un suo ragionamento in quell’Accademia Roveretana, detta degli Agiati, che l’aveva accolto fra’ suoi giovanetto.
     
     
     
      XXVI.
     
      Numerare le, non so quante ma di molte, accademie che lo ascrissero a sè, anche parlando d’uomo da meno, sarebbe ozioso. Dopo aver detto in servizio di chi amasse saperlo, che il Rosmini era dell’Istituto di Francia e dell’Accademia della Crusca e di quella di Torino, dirò ch’egli fu anco di quella di Lucca, per soggiungere che la novella gliene venne data da quel Fornaciari, degno concittadino e successore del Lucchesini e del Papi, magistrato onorando, maestro affettuoso, scrittore elegante, credente schietto, magnanimo cittadino. Di tali segni della stima altrui nè invaniva il Rosmini, nè li rigettava; accogliendo con riconoscenza e la visita del re di Sassonia e la congratulazione di giovane oscuro e il ringraziamento del rustico poveretto. Ma quando il duca di Montmorency, passando dal lago, volle vederlo come una singolarità naturale, egli però non iscese dal suo monte, non vedendo utilità morale dell’essere così veduto.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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