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      In Francia ebbe estimatori e traduttori, e chi forse delle sue dottrine approfittò senza dirlo, ma leggermente ne approfittò, giacchè quell’Italiano, appunto perchè chiaro, pare non richiegga studio da’ vicini nostri d’oltremonte, i quali e per l’agilità della mente e per la conformità delle due lingue, si credono d’intendere e quando ci azzeccano e quando raccapezzano a un bel circa, e anco quando sbagliano, mettendo in vece dell’idea nuova altrui la vecchia che avevano in capo. Se d’altri uomini illustri che del Manzoni egli cercasse la conoscenza, non so: ma parecchi ne conobbe, tra quali Ippolito Pindemonte, di cui gli fu cara la malinconia affettuosa, la pietà gentile, la dignitosa modestia. E a prova della modestia d’esso Rosmini, rammenterò come un giorno passeggiando il Pindemonte le allegre strade dell’allegra Verona tra Antonio nostro e Carlo suo zio (letterato alla vecchia ne’ difetti forse più che ne’ pregi), e io col Moschini dietrogli; il Marchese interrompeva il colloquio con loro due per rivolgersi non senza compiacenza del prete gentiluomo, a me giovane ignoto e attaccare cortese disputa in favore degli dei dell’Olimpo, e recitarmi i versi del Parini Già l’are a Vener sacre, domandando come mai poter dire poeticamente senza il soccorso della mitologia una cosa così? Nè il vecchio poeta a’ cui giovanili consigli aveva con docilità coraggiosa obbedito l’Alfieri, voleva accorgersi che anima di poeta trova modi, di dire ogni cosa, quanto più semplici più potenti; e che in quel del Parini la mitologia come canzonatura ci stava; e che un’altra ironia oltre alle solite si socchiudeva in que’ versi, cioè del mostrare il galante viaggiatore devoto daddovero alle deità che la cristianità non galante ha messe da banda: nè il vecchio Cristiano, che si faceva sottomano a ogni tratto segni di croce per mettere in fuga il diavolo, pensava che nel mondo dov’era per passare tra un anno, lasciando di sè memoria purissima, avrebbe rincontrato il caduceo di Mercurio e i sorrisi di Venere Libitina.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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