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      Giacchè le cose del mondo sono congegnate così che dal biasimo esca lode, dalla lode biasimo; e la nostra parola e l’opera sortisca talvolta effetto contrario all’intendimento. Inoltre il Rosmini scrivendo s’infervorava nel dire (nel che l’uso del dettare accresce il pericolo), e per fare l’argomentazione più viva e la lettura men grave, scappava in celie da non ferire mai la persona, ma che, cogliendo le cose, ferivano forse più intimamente. E qui è da riconoscere quanto possano in bene o no gli abiti dell’età giovanile; perchè quell’anima rara che si compiaceva del vedere i condiscepoli suoi in vena di celia e s’armava anch’egli d’arguzie innocenti e d’acumi; nel più serio della vita e delle questioni ritornava talvolta a quell’arte difficilissima a esercitare con garbo e con pietà. E alla smania di trattare con vivacità soverchia può forse essere stimolo anco quel figurarsi, come molti uomini pii e savi fanno, la difesa del vero come una guerra, e quelle imagini di vittoria e di vessillo e altre tali, che ne’ libri della legge cristiana sono simboli e non precetti. La vittoria del credente è come quella di Dio, cantata dal Manzoni e da Dante E sia divina ai vinti - Il vincitor mercè - E non già come l’uomo all’uom sobranza, - Ma vince lui perchè vuole esser vinta, - E vinta, vince con sua beninanza. Nè nel Vangelo io rammento altra imagine di battaglia se non là dove il re mansueto, l’Agnello di Dio, dice d’esser venuto a portare non la pace quaggiù ma la spada, e intende chiaramente la guerra co’ propri affetti tiranni, quella guerra che sola può preparare l’armonia dell’uomo seco stesso e con tutti gli uomini quanti sono.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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