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      Vogliano gli scrittori grandi scrivere sempre parole che siano mediatrici tra il cielo e la terra, parole da potersi leggere e rammentare e nell’esaltazione della gioventù e ne’ languori della vecchiaia, e nell’ardente raggiar della vita e presso alle sacre tenebre della morte.
      Muore il Roveretano in Piemonte, il Piemontese in Parigi; muoiono riconciliati; nè avvicinò le loro anime umana speranza o paura. Esca dalle due sepolture, quasi unico spirito, un testamento all’Italia di perdono e di amore; e sia ad essi leggiera, non dico la terra, pietosa madre, ma la memoria degli uomini che sopravvivono, infelici, ai cimenti della solitudine, della calunnia, del tedio e del disinganno.
     
     
     
      XXIX.
     
      Non sarebbe il Rosmini entrato, cred’io, in lunga guerra per comprovare quant’egli nella Logica disse dell’Hegel con parole a dir vero acri troppo e al Tedesco e a’ pochissimi italiani seguaci di lui; non però più severe del giudizio che, senza prove nè citazioni ma non senza ragione, ne porta nel Rinnovamento il Gioberti. Un difensore ingegnoso dell’Hegel, dimenticando il Gioberti, raccolse i detti del Rosmini severi, non badando a quelli che in parte li temperano. Perchè l’Italiano filosofo attribuisce a’ Tedeschi forza d’astrazione; e dicendo le corone dell’Hegel intrecciate dalle mani della candida gioventù, non usa ironia, se quell’entusiasmo confessa essere generoso. Ma l’arguto difensore, notando nella versione dal Rosmini data di alcuni passi dell’Hegel una qualche improprietà, o se così piace, sbaglio, non riuscirà a dimostrare che quegli non abbia inteso lo spirito e le conseguenze della dottrina hegeliana; le quali son dimostrate e dalla stessa traduzione corretta, e dalle più compiute citazioni dell’egregio seguace, e da quel che i discepoli e il maestro dicono, e da quel che non si saprebbe nè in italiano nè forse in tedesco spiegare in linguaggio comune agli uomini tutti parlanti la lingua, senza che troppo manifesta apparisse la stranezza delle deduzioni che ne verrebbero alla pratica della vita.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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