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      Nel 1814 aperse ai genitori il desiderio, egli primogenito, di farsi prete; nè lo distolsero le loro preghiere, nè i consigli del Cesari, che, interposto da essi, si prestò a questo di cuore. Il buon prete dell’Oratorio era sinceramente, ma mitemente, pio; nè alla sua innocenza nuoceva studiare il Boccaccio dappoichè il Pederzani, prete un po’ rotto, ebbe vinti i suoi scrupoli; nè tradurre Terenzio con lusso di riboboli vivi e morti, cogliendo sovente nello spirito dell’autore come dotto ch’egli era delle latine eleganze, e più assennato scrittore in lingua morta che non nella vivente, la quale sotto le sue carezze invecchiava e moriva. Quest’atto del Cesari, come di tolleranza e prudenza esemplare, m’è parso degno che sia memorato.
      In abito di secolare incominciò il Rosmini in Padova a studiare teologia; nè lo stolgono dal suo proposito esempi giovanili diversi, nè distrazioni di città popolata da’ studenti, nè letture a mente acerba pericolose fatte per amore di scienza, nè celie più pericolose a anime deboli ch’altre tentazioni di molte. Il professore Mabil, veneto, di razza francese, e che accoppiava la francese all’arguzia veneziana in colloqui dove la squisitezza letterata era ammorbidita dalla esperienza del mondo, e risaltava da una originalità quasi ruvida una finezza più delicata, e sotto la sbadata allegria traspariva un non so che di mestizia, e l’acrimonia temperavasi con la bontà; al visitarlo che il Rosmini fece, per primo saluto: Ella dunque, gli disse, vuol farsi eunuco per il regno de’ cieli?


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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