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      Da’ suoi segretari, la cui famigliarità ognun vede quanto sia preziosa al cuore e all’ingegno e raccomandata dalla stessa prudenza e dall’affetto del bene, si distaccava a ogni bisogno altrui, ch’era a lui comodo e legge. Tenne seco preti non ascritti alla sua Società, senza insistere che ci entrassero, e lasciò in loro arbitrio l’andare e lo starsene. Agli alunni suoi stessi non imponeva le proprie opinioni, egli sì caldo e possente a difenderle; e interrogato da uno come avesse a governarsi con un esaminatore di dottrina diversa, rispose: come vi pare. E così nella scelta e nell’ordine degli studi lasciava libertà a ciascheduno; zelante più egli dell’obbedire che del richiedere obbedienza.
     
     
     
      XXXIX.
     
      Parco a sè, generoso ad altrui; elemosiniere prudente, perseverante, segreto; caritatevole per istinto: e la sua balia, vivente ancora in casa di lui, racconta come volesse merenda di più e qualche soldo da dare, come dell’età di sei anni dèsse a un poveretto scalzo nel verno le sue calze nuove, per avere sentito: Chi ha, dia a chi non ha. In libri spendeva: e trovandosi da vendere per quattrocento scudi la ricca Biblioteca Venier, egli scolaro scrive da Padova al padre lettera dignitosa e supplichevole, e di quell’arte dell’affetto che il Caro non insegna nè altri. Da libri propri che fruttarono a’ librai, non ha mai lucrato. Voleva da ultimo piantare stamperia (e l’estreme parole dettate furon di questo) per avere agio a correggere sulle bozze lo stile e a rifondere, come fa quell’amico suo incontentabile di sè medesimo, e quanto da’ lettori amato, tanto dagli stampatori temuto.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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