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      Spese in murare, non in tutto provvidamente, ma giovano anco i suoi sbagli a dimostrare come poco egli fosse speculatore di lucri, se a dimostrarlo non bastasse l’uso fatto de’ propri averi e de’ lasciti altrui. De’ quali taluno egli abbandonava quasi all’altrui arbitrio, per tema di cadere in amministratore del cui fatto avesse a diffidare o a dolersi: e le anime conscie della generosità sanno quanto costino doglianze tali, e quanto più costi il dover diffidare dell’altrui probità.
      La probità del Rosmini, dico la probità di Antonio Rosmini, fu da taluno non solamente dubitata ma coraggiosamente e quasi allegramente negata: fu detto che le arti sue tolsero a chi ne aveva il diritto un’eredità; mentre che quella eredità toccò ad un parente il quale ne fa uso buono, e che gli altri parenti lontanissimi della testatrice non avevano diritto a più di quello che ottennero da’ suoi lasciti s’ella moriva intestata. Trattasi dunque d’una casa lasciata al Rosmini in proprietà, all’erede in usufrutto sua vita durante, la qual casa esso erede poi cedè al legatario verso un annuo compenso, non ne potendo sostener le gravezze; trattasi d’una casa posta nel luogo dov’esso Rosmini aveva con gravissimi dispendi edificata una casa; di casa il cui possesso gl’imponeva oltre al fitto già detto e oltre alla forte imposta da pagare allo Stato, un’ospitalità dispendiosa, incomoda spesso a’ suoi studi, esercitatrice di non facile pazienza, rubatrice a lui di quel tempo che gli era inestimabile ricchezza, e poteva, volendo lui, cambiarglisi anco in moneta ben più sonante di cotesto lascito calunniato.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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