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      Niente d’incredibile è da sperare che non possa essere creduto dagli odî di parte: a ogni cosa dunque bisogna, con tali esempi davanti, a ogni cosa essere preparati. L’uomo che dalla sua adolescenza dedicava tutto sè alla verità, che arde dell’amore di Dio e de’ fratelli, spenda pure in quest’opera gli averi e le notti, affatichi l’ingegno, consumi il vigore del corpo, incanutisca anzi tempo e s’accorci la vita per adornare di fregi novelli l’abito sacerdotale, per accrescere l’eredità de’ maggiori, sgomento a’ nepoti; affronti ostacoli e contraddizioni, calunnie e dolori; si sforzino d’accorarlo a gara la tiepidezza degli amici, la sconoscenza de’ beneficati, il sospetto de’ più caramente diletti; non ne prenda egli però nè rammarico nè maraviglia, e ringrazi l’onnipotenza di Dio che gli tocchi da ultimo, gettato come il tozzo dell’elemosina, un dimittantur.
      Questa parola, repressa fin qui, mi prorompe dal cuore; e ne chieggo scusa ai figli del Rosmini che pregano non si ritocchi il passato, ne chieggo perdono a quell’anima generosa che ha perdonato e si tacque. Ma ripensando appunto quel silenzio innocente come di agnello sotto la mano del tosatore, quella mitezza semplice come di bambino e forte come di spirito sopravolante alla terra; mi prende un sentimento più alto che l’ammirazione, più sacro che la pietà; e mi parrebbe non aver viscere d’uomo se non dicessi, non ai presenti (so quello che c’è da aspettare da loro), ma agli avvenire: espiate la nostra vergogna.
     
     
     
      XL.
     
      Fu apposta alle amarezze dategli la sua morte.


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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