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      Di che malattia moriva egli? L’infermità di tanti anni poteva ella con altra cura risparmiarlo qualche tempo ancora? Non fu aperto il cadavere; e fecesi bene. La verità poteva rendere più amara la perdita, e poco poteva giovare all’arte; giacchè la storia dell’uomo malato così come quella delle nazioni malate non prolunga la vita ai destinati a morire; e medicina e politica sono arti, men che d’esperienza e di memoria, di divinazione e d’istinto. Certo è che il buon medico sentiva il valore di quella vita, nè poteva prestargli cure più assidue con riverenza più religiosa, con più trepido affetto; il medico, uomo stimato da tutto il paese, e da quello ch’è uno de’ pochi lumi che restino alle italiane università già sì grandi, il professore Panizza.
      Le esequie senza colore di parte, in paese ch’erasi già tentato aizzare contro lui vivo, furono solenni per la mesta venerazione del popolo e per il concorso de’ sacerdoti delle dodici parrocchie circostanti e altri ancora; e funerali in chiese d’Inghilterra e d’Italia gli furono celebrati e detti elogi non da uomini del suo stesso Istituto: e lettere di condoglianza rispettosa da più luoghi e d’Italia e di Francia; e giornali solleciti dell’onore della nazione dissero di lui parole splendide ed ardenti, e un monumento gli si medita nel suo Rovereto. La perdita sarà più sentita col tempo: diceva il Manzoni, compendiando ogni lode in queste parole; degno interprete della posterità. Il nobile vecchio che andava a orare al letto di lui anche morto, levato che fu il cadavere, rientrando a orare, come se allora s’accorgesse della morte, appunta al letto le braccia, e con voce di desolazione: «non c’è... non c’è più!» - prende il Paradiso di Dante e lo bacia: e pregato di torsi per memoria un qualche libro: «la memoria è qui, con la mano alla fronte; poi al cuore: e qui».


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Antonio Rosmini
di Niccolò Tommaseo
pagine 147

   





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