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      Ma se nell'applicargli, gli applica con qualche spazio di tempo, non è più necessario, che l'effetto segua infinito, anzi può esser minimo, ma però nullo mai. Ricordiamoci, che il Galileo dimostra, che qualunque grave dopo qualsivoglia caduta ha tanto impeto, o momento in se stesso, che basta precisamente per ricondurre il grave caduto, e riportarlo a quel medesimo segno d'altezza dalla quale era partito, e questo ritorno si farebbe in altrettanto tempo quanto fu quello della caduta. Questo pare a me che voglia dire. Se un grave dopo la caduta da qualsivoglia altezza, si rivolgerà all'insù; altrettanta salita per appunto, quant'era stata la scesa basterà per torgli, ed estinguergli tutto quell'impeto, che esso aveva concepito. Cade sopra un'incudine dall'altezza d'una picca un martello, che pesa quattro libbre: quando arriva a dar la percossa, egli ha già multiplicato infinite volte il momento del proprio peso, ma non per questo dee far effetto infinito. Immaginiamoci che egli non percuota altrimenti, ma si rifletta all'insù coll'impeto acquistato senza toccar l'obietto. Non vedete per la dottrina del medesimo Galileo, che la poca repugnanza di quattro libbre del suo proprio peso in tanto tempo con quanto egli ascende lo spazio d'una picca all'insù, basta per estinguere tutta quella infinità di forze, che egli aveva multiplicate nello scendere? Così anco quando egli darà la percossa temporanea, può esser che l'immensa repugnanza della impermeabilità del ferro, sia bastante a torgli nel brevissimo tempo nel quale si fa l'ammacatura, tutto quell'impeto, che la poca resistenza di quattro libbre di peso, gli toglieva nel lungo tempo della corsa d'una picca all'insù.


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Lezioni accademiche
di Evangelista Torricelli
Stamperia Guiducci e Santi Franchi Firenze
1715 pagine 166

   





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