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      Ma ritornando dalle passioni alla Meccanica, appressiamoci alla fine del discorso, e concludiamo oramai, che la forza di quel martello, o di quel projetto per linea orizontale, che urta con tanta efficacia in quello obietto, non può esser altro, che virtù impressagli dalla macchina, che l'avrà velocitato, ed appunto è la medesima virtù in numero, che dalla macchina medesima scaturì: e diciamo, che tanto maggiore sarà il colpo, non già quanto sarà maggior la mole, o la gravità, o la velocità del mobile urtante, ma si bene quanto maggiore sarà stata la renitenza del mobile all'esser cacciato.
      Imperocche quella, che a noi par maggior renitenza d'un mobile all'esser velocitato, non è, che realmente ella sia renitenza di sorta alcuna, che per linea orizontale non vi è, ma sì bene perche a muover quel tal corpo, con quella tal velocità, si ricerca, che in esso s'imprima molto impeto. Non vi è ignota la quistione famosa, che cerca se i projetti sieno portati dal mezzo ambiente, o dalla virtù impressa. Ma però questa è stata assai ventilata, ed anco vinta dal Galileo, nella sua maggior Opera. Questi vuole, che il mezzo non sia potente a portar i corpi separati dalle macchine proicienti, ma si ben l'impeto impresso dentro alla crassizie, ed alla corpulenza della materia. Se altri mi chiedesse, che cosa sia quest'impeto impresso colà dentro agli arcani invisibili delle materie naturali, io direi, che non lo so, non già per questo verrei a concedergli, ch'egli non vi sia. Non mi maraviglio, che quel projetto, fin ch'egli viene accompagnato dal braccio del proiciente si muova, come sospinto; ma dopo, ch'egli è libero, e fuori del pugno, che l'ha velocitato, quel continuare a muoversi per lungo spazio, mi farebbe restar attonito, s'io non m'imaginassi qualche virtù assistente, ed impressa in quel mobile, atta a portarlo per l'aria.


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Lezioni accademiche
di Evangelista Torricelli
Stamperia Guiducci e Santi Franchi Firenze
1715 pagine 166

   





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