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      Non sia di grazia alcuno, che si prenda maraviglia di così stravagante argomento in questo giorno, poiche confesso liberamente, che parlo in causa propria, ed ecco l'altro punto proposto. Che tutti gli uomini dopo morte sieno per divenire egualmente famosi. Io fo conto d'andarmene da questa vita senza lasciarci [per colpa del poco talento della mia inabilità] vestigio alcuno durabile di esserci mai passato. Non già per questo diffido punto di dover esser anch'io famoso al par d'ogni altro, per celebre, ch'egli si sia. Si loderà dalla fama decrepita degli anni futuri, Achille, Alessandro, Annibale, Cesare, si dirà d'Omero, di Virgilio, di Platone, d'Aristotile, e di tanti altri uomini celebrati, ed illustri. Gran disgrazia per certo sarebbe la mia, se nella formazione del concetto fortuito, fosse più fortunato, circa il venir nelle fantasie umane, il simolacro d'Achille, che il mio. Non vale il dire, tu non hai quel nome, tu non hai fatto quelle prodezze mirabili, quelle azioni virtuose, quell'opere degne d'eternità. Perche io vi confesso di non aver quel nome, ne quei meriti, e di non aver fatto quell'opere, ma pretendo, che la mia persona dopo la morte sia per correre nelle teste degli uomini la medesima fortuna con gli Eroi, e co' Semidei; e dico, che dalla posterità vivente saranno sempre attribuite a caso, per non dire a rovescio, la lode, ed il biasimo, a persone, che forse ogni altra cosa avranno meritato, fuor che quella, che gli sarà conceduta. In somma parmi di vedere nelle teste degli uomini, apprensioni, che con errore non volontario, ma inevitabile, esaltano Marrani, scherniscono Grifoni, onorano le Taidi, vilipendono le Lucrezie.


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Lezioni accademiche
di Evangelista Torricelli
Stamperia Guiducci e Santi Franchi Firenze
1715 pagine 166

   





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