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      Al contrario il popolo, avvegnachè servo, condiva l'amore del servaggio colla dolce speranza di un benigno avvenire, che si andava sollevando da lungi sul fondamento delle memorie. La vena delle tradizioni romane seguitava il suo corso nelle menti popolane: perciò alla caduta dei grandi feudatari il popolo levando la fronte dalla gleba, non interrogò alcuno intorno alle civili ordinazioni, con cui doveva comporsi. Per naturale conforto si ordinò a comune. Infatti non essendo stata cosa istituita da' legislatori, consigliata da' filosofi, prodotta da un fatto, non possiamo determinare il numero delle città che prime si ressero a comune, il tempo della loro emancipazione, nè troviamo una uniformità di reggimento comunale.
      Così tutto il potere de' Duchi, de' Marchesi, de' Conti cadde nelle mani delle città. Quelli non furono più; anzi fin nell'anno 1156 Ottone da Frisinga28 non trova che il solo Marchese di Monferrato, che avesse potuto sfuggire l'impero delle città. Poteva Ottone veramente ricordarsi delle famiglie di Este e di Malaspina.
      Risorsero i Consoli in queste città, i quali si dividevano il governo della giustizia, dell'amministrazione e della polizia; varî di numero. Dentro il governo era tutto alla Romana, e Romano fu anche il senno con cui le città grandi si misero a trattare con le città minori, con le terre e le castella che erano nel compreso del loro territorio, nelle quali erano sparsi que' tali Conti rurali. Se li assoggettarono; ma li chiamarono al godimento della loro cittadinanza.


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Storia della Lega Lombarda
di Luigi Tosti
Tipi di Monte Cassino
1848 pagine 398

   





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