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      Ma la potenza dello stato aveva ricevuto un nuovo lievito per la crescita; la fede unica rispondeva all'unico re e all'unica legge. Il protestantismo era incomprensibile tanto a un Voltaire che a un Bossuet, era disprezzato come non francese tanto dai credenti che dagl'irrisori, e la chiesa sola dominatrice era schiava dello stato.
      Durante la rivoluzione l'attività dello stato va poi vagando nell'indeterminato. La Convenzione arrischia l'insensato esperimento del comunismo pratico, s'impegola nella proposta di Billaud di "ricreare" il popolo francese. Subito dopo l'istituzione del Consolato, Napoleone, appunto seguendo il genio di queste antiche tradizioni francesi, dichiara che è suo proposito "creare lo spirito pubblico". Proclama sé stesso il genio tutelare della Francia, al cui apparire la società anelante ha gridato: le voilà! Imperatore, egli in brevi e secche parole si vanta di aver la gloria e l'onore di "essere la Francia". Tutte le manifestazioni della vita del popolo vengono sottomesse a un'assidua e infaticabile tutela. L'attività gigantesca del monarca abbraccia le cose più grandi come le più piccole, l'edifizio del nuovo ordine giuridico come il prezzo dei posti all'Opera. Ogni dipartimento deve all'imperatore importanti miglioramenti locali; sotto l'impero la mestola non può restare un minuto. Come sotto l'antico regime una massima favorita diceva: la gendarmerie c'est l'ordre; ora sotto il bonapartismo dice: la polizia, provvidenza dei liberi cittadini e terrore dei perturbatori.


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La Francia dal primo Impero al 1871
di Heinrich von Treitschke
Editore Laterza Bari
1917 pagine 597

   





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