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      Tanto meno l'assolutismo poteva convocare un vero concilio nazionale o tollerare nella Chiesa un sistema rappresentativo. Bonaparte dichiarò: "il popolo abbia una religione, e questa religione sia nelle mani del governo"; per questo fondò una Chiesa di stato, di cui il papa e il monarca si dividono il dominio in parti uguali. A mano a mano le nuove diocesi e tutti gli uffici ecclesiastici furono assegnati alle recenti nomine; il clero fu stipendiato dallo stato senza alcun diritto o ragione sui beni ecclesiastici depredati; posti i seminari sotto la sorveglianza dello stato; il matrimonio ridotto un contratto civile; eppure, ciò non ostante, l'autorità del papa sul clero era anche più forte che non fosse stata ai tempi di San Luigi: perché il tutto costituiva una rigida burocrazia ecclesiastica. Arcivescovi, vescovi e parrochi si tenevano stretti gli uni con gli altri e col rispettivo gregge, né più né meno come prefetti, sotto-prefetti e sindaci se l'intendevano tra loro e con le popolazioni da loro amministrate. La legge presta volentieri il braccio al fanatismo dei teologi, vieta "ogni accusa diretta o indiretta a una chiesa riconosciuta", val quanto dire, ogni seria disputa religiosa; e il clero riconoscente di Lione dichiara: "noi glorifichiamo in Vostra Maestà la stessa Provvidenza!". Anche quando più tardi, infido ai suoi propri disegni, manomise con brutale violenza la curia e borbottava stizzito ai prelati irremovibili: "la vostra coscienza è una matta"; anche allora l'imperatore non smarrì la consapevolezza, che aveva bisogno della chiesa, e che l'unité catholique era una colonna del suo dominio universale.


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La Francia dal primo Impero al 1871
di Heinrich von Treitschke
Editore Laterza Bari
1917 pagine 597

   





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