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      Volentieri si vantava: "il mio padrone non ha cuore: questo padrone è la natura delle cose". No: cotesto padrone era l'arbitrio. Noi cerchiamo invano nella sua azione un disegno determinato, mantenuto rigidamente attraverso tutti i casi e le vicende, come, per esempio, l'idea dell'ellenizzazione dell'oriente, che fin dal principio splendé promettitrice nell'animo di Alessandro, o come il pensiero di uno stato tedesco autonomo del settentrione, al quale Federico consacrò la vita. Egli inizia il proprio dominio col sentimento intimo di una prodigiosa potenzialità, e, come davanti a lui s'inabissano pietosamente i governi marci degli antichi stati, corre avanti senza posa di trionfo in trionfo, meditando disegni sempre nuovi e sempre smisurati. Nella sua anima lavora l'elaterio al meraviglioso, all'inaudito, all'immenso. Presto, più presto che non si dica comunemente, già fin dai giorni del Consolato, nella sua mente è fisso il pensiero di essere chiamato a dominare il mondo. Nessun successo, per quanto splendido, basta alla folle ambizione. "I popoli oggi sono illuminati, non c'è più nulla di grande da fare", disse malinconicamente il giorno dell'incoronazione. "Alessandro poté chiamarsi figlio di Giove Ammone, e tutto l'Oriente gli credé: qualunque pescivendola mi riderebbe sul viso, se volessi spacciarmi per figlio del Padre Eterno!". Un mortale di rado è con tanta energia vissuto dell'idea, che il vivere sulla bocca dei posteri sia la meta più alta dell'azione su questa terra; e appunto questa idea, che fu il supremo principio morale del mondo antico, designa anch'essa l'imperatore come figlio genuino dell'antico popolo italiano.


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La Francia dal primo Impero al 1871
di Heinrich von Treitschke
Editore Laterza Bari
1917 pagine 597

   





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