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      Ma si era ancora ben lungi dalla meta, e tutta l'opulenza della terra serviva ancora a locupletare una città dominatrice, una città travagliata dalla feccia plebea, senza industrie, senza una borghesia operosa. Le provincie erano ancora soggette a diritti ineguali, abbandonate indifese all'avidità dei vicari di un'aristocrazia senza coscienza. Lo sviluppo dell'impero universale era minacciato da due pericoli: il primo, l'illuvione dei barbari, la quale, se la rilassatezza dell'aristocrazia in Roma fosse durata, avrebbe spazzata ogni traccia della civiltà tradizionale; il secondo, i Greci, che, essendo la nazione più numerosa, più attiva e più colta dell'orbita mediterranea, avrebbero senza fallo, se l'energia di uno stato potente non vi avesse opposto il riparo, impresso all'impero dei Romani un carattere bizantino, invece che romano-greco.
      Cesare, vero erede delle menti lucide della democrazia, di Sertorio e Gracco, diede con chiara coscienza una completa concretezza al moto di sviluppo inconsciamente iniziato dall'antichità già sul declivio. Egli trasformò un guazzabuglio di provincie, soggette a una città per bisogne servili, in un imperio mondiale di regioni pareggiate giuridicamente; latinizzò le provincie, e col benefizio di un governo monarchico assicurò loro un'esistenza umana. Tutelò l'impero col sistema non mai abbastanza ammirato della difesa offensiva. Quando Cartagine e Corinto risorsero dalle rovine e il senato si aprì agli uomini delle provincie, Cicerone poté invocare a sua posta la rovina alla barbarie invadente: l'impero era fondato, non esisteva più una città tiranna.


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La Francia dal primo Impero al 1871
di Heinrich von Treitschke
Editore Laterza Bari
1917 pagine 597

   





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