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      In questi tempi ansiosi di pace il principe della guerra, Bonaparte, si fece avanti come un disturbatore del corso naturale delle cose; la sua caduta finalmente assicura al mondo ciò a cui anela da tanto tempo. La regola dell'antichità è la guerra. Fintanto che il mondo fu ancora in gioventù, il vivere per lo stato con tutta la forza virile, guardarne e accrescerne la potenza nella lotta contro lo straniero, significò per gli uomini dell'antichità lo scopo supremo dell'esistenza. Lo stato antico dei tempi gloriosi è il popolo sovrano in armi. L'impero porta la pace nell'antichità, disarma i cittadini, avvia l'enorme maggioranza degli uomini a un'esistenza puramente sociale: ai modesti doveri della vita comune, all'attività economica ed intellettuale. La furia della guerra, cantata nella Georgica di Virgilio in modo così terribilmente bello, imperversò ancora sulla terra dopo la morte di Cesare; poi il tempio di Giano chiuse le porte per molto tempo. Senza dubbio, la potenza e la grandezza più peculiari dei popoli antichi doverono rimanere devastate dal fondo, quando sparì la guerra, e sparì con essa l'alta passione politica e, insieme, tutto ciò che fino allora aveva occupato l'esistenza del cittadino. Come stavano le cose, la pace dopo il tramonto della libertà costituiva effettivamente il sommo bene della vita. La giustificazione storica dell'impero è: Pacis imponere mores. Certamente anche la pace del mondo antico ci appare feroce ed empia rispetto ai costumi raddolciti dei tempi cristiani, e leggiamo con ribrezzo in quale pieno gaudio di dominio deificato lussuriassero i Cesari e con quali rudi colpi alla nuca costringessero a piegarsi a loro le teste orgogliose dei Corneli e dei Claudi.


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La Francia dal primo Impero al 1871
di Heinrich von Treitschke
Editore Laterza Bari
1917 pagine 597

   





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