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      Erano lotte serie, combattute con la partecipazione passionata della nazione: sotto la Restaurazione hanno acceduto alle urne non mai meno dell'84 per cento, talvolta fino al 91 per cento degli elettori. Questo generale accaloramento alla politica ha qualcosa dell'ingenua allegria della giovinezza: la libertà della parola, ammutolita per tanto tempo, riopera con l'incanto della novità. L'ardore delle lotte di partito sembra un segno di forza e di salute rispetto al silenzio innaturale del governo di polizia di Napoleone. Il mondo torna a credere speranzosamente all'ideale politico. Forti partiti di tutte le classi si conciliarono lealmente col regime parlamentare: quelli che non lo fecero, come i repubblicani non convertiti, i partigiani di Napoleone, i legittimisti fanatici, si videro almeno costretti a simulare la loro sottomissione allo statuto. Due volte, sotto il governo del centro circa il 1819 e poi sul principio del ministero Martignac, si ebbe l'impressione, che la mannaia delle lotte civili fosse sepolta, che l'eredità della Rivoluzione fosse stata accettata dai Borboni senza benefizio, che fosse stato dimenticato il vecchio assassinio della dinastia perpetrato dal popolo. La nobiltà contava ancora antiche e illustri famiglie di grande potenza. I suoi figli avevano combattuto un tempo per la Francia su innumerevoli campi di battaglia; e adesso anche alcuni benemeriti dignitari di Napoleone aderirono all'alta nobiltà borbonica. La camera dei pari fu sovente salutata dalle ovazioni popolari, e fu stimata usbergo dei diritti del popolo.


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La Francia dal primo Impero al 1871
di Heinrich von Treitschke
Editore Laterza Bari
1917 pagine 597

   





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